Filippine, università a caro prezzo

Università di Manila, il dolore e la rabbia degli studenti

Università di Manila, il dolore e la rabbia degli studenti

Nelle Filippine questi sono giorni di mobilitazione per gli studenti e le studentesse. Si vivono momenti di rabbia, dolore, determinazione. Si sente sulla propria pelle stringere le maglie di un sistema sempre più elitario e classista. Un sistema che uccide.
Negli ultimi mesi il governo filippino ha aumentato le tasse in tutto il settore dell’istruzione superiore e dell’università. Il sistema si è irrigidito ancora di più, rispondendo alla semplice quanto agghiacciante equazione: non paghi le tasse = non puoi sostenere esami.
Schiacciata da questo sistema, Kristel Tejada, una matricola di sedici anni dell’Università di Manila si è uccisa. In ritardo con i pagamenti delle tasse universitarie, si è vista chiudere in faccia ogni possibilità di frequentare le lezioni.
La risposta di studenti e studentesse non si è fatta attendere ed è diventata, nei giorni, sempre più determinata e radicale. Prima il dolore sordo, accecante di migliaia di studenti che sfilano vestiti di nero, a lutto, con le mani anch’esse colorate di nero. Poi, nei giorni successivi, quando si viene a sapere di possibili ulteriori aumenti nelle tasse universitarie (si parla del 10%) mascherati sotto altro nome, la rabbia esplode: gli studenti e le studentesse dell’Università delle Filippine a Manila, occupano gli edifici e danno fuoco ad una parte dell’arredamento. Poi tentano di entrare negli uffici amministrativi, ma vengono respinti. Nei giorni successivi continuano le manifestazioni di protesta. Anche mentre stiamo scrivendo.
La forza e la ferma determinazione che animano queste manifestazioni stanno nella volontà di volere spezzare la spirale dell’atomizzazione in cui questa situazione di crisi e sfruttamento ci vuole rinchiudere. La forza di questa mobilitazione è quella di voler riaffermare immediatamente il carattere sociale, collettivo, della attuali condizioni di vita oggettive e soggettive: è una presa di parola netta su cui tutti siamo chiamati a riflettere. “Siamo tutt* Kristel”.

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Breve nota sulle “politiche di governo” universitario

In questi giorni, a Bologna, stiamo assistendo ad una progressiva restrizione ed attacco alle esperienze, realtà e spazi sociali che da tempo si muovono nella critica delle politiche di governo “universitario” e cittadino. Ovviamente l’attacco è a tutto tondo ed infatti, osservando i continui sgomberi subiti da migranti, si comprende che per chiunque ci governi il “diritto alla casa” è solo qualcosa senza senso da ripetere, forse, in campagna elettorale.
Per quanto ci riguarda, vogliamo offrire uno spunto al dibattito generale, soprattutto nell’ambito dell’università. In questo inizio 2013 abbiamo visto diversi sgomberi di realtà studentesche. Tre gli sgomberi subiti da Bartleby: il primo il 23 gennaio dalla sua sede di via San Petronio Vecchio, poi dalla nuova occupazione di Santa Marta e infine dall’Aula Roveri occupata. Stessa sorte è toccata alla nuova occupazione di Hobo. In entrambi i casi vanno sottolineate due cose: il dispiegamento ingentissimo di forze del (dis)ordine e l’agibilità con cui operano all’interno dell’Università avvallati da baroni, presidi, rettore e da una “rappresentanza” studentesca mai così attiva. Erano anni, ad esempio, che un caporeparto della celere non entrava in rettorato minacciando di caricare gli studenti e le studentesse. In secondo luogo, rileviamo la volontà politica congiunta da parte del Comune e dell’Università di “silenziare”, “ammutolire”, decentralizzare tutte quelle esperienze di socialità e cultura altra, autorganizzate e radicali.
Lungi dal voler fornire “teoremi”, per quanto forse non si debba esulare dall’interrogarsi sulle convergenze sul piano politico-repressivo del triumvirato Comune-Università-Questura, crediamo che sia più importante, per noi tutt*, ragionare su cosa mettere in campo e come metterlo, insieme, per moltiplicare le esperienze di autogestione, conflitto, cultura e socialità altre, in un contesto dove anche il diritto allo studio viene messo costantemente sotto attacco.

Collettivo Autorganizzato Volya

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Regno Unito: Alfie e Zak assolti, due anni dopo

A più di due anni dalle grandi manifestazioni studentesche in Gran Bretagna contro i tagli e l’aumento delle tasse universitarie, sono stati assolti alcuni studenti, accusati di disordini violenti nel corso di quelle proteste.
Di seguito pubblichiamo la traduzione di un articolo di libcom.org sulla vicenda.

Alfie Meadows e Zac King non colpevoli – 2 anni, 3 mesi e 3 processi dopo

Alfie Meadows dopo l'operazione alla testa per il trauma avuto in seguito alle manganellate nel corso di una manifestazione studentesca

Alfie Meadows dopo l’operazione alla testa per il trauma provocato dalle manganellate ricevute durante la manifestazione studentesca del 9 dicembre 2010

Dopo anni di incertezze e due processi nulli, Alfie Meadows e Zak King sono stati ritenuti non colpevoli all’unanimità rispetto all’accusa di disordini violenti nel corso di una manifestazione contro le tasse universitarie e i tagli all’educazione del 9 dicembre 2010. Alfie è stato colpito così violentemente dalla polizia quel giorno che ha avuto bisogno di un intervento chirurgico d’urgenza della durata di 3 ore a causa di un’emorragia interna nella testa.

Quello che segue è il comunicato stampa di Defend the Right to Protest, che ha supportato incessantemente Zak, Alfie e altre vittime della violenza e delle persecuzioni poliziesche.

“La lotta per la giustizia per mio figlio è finalmente iniziata” (Susan Matthews, madre di Alfie Meadows).

Oggi una giuria ha emesso un verdetto unanime di assoluzione nei confronti di Alfie Meadows e Zak King, accusati di disordini violenti. Alfie e Zak erano tra le migliaia di studenti scesi in piazza il 9 dicembre 2010 contro il triplicare delle tasse universitarie, i tagli all’educazione superiore e agli assegni di mantenimento per l’educazione.

Zak e Alfie hanno dovuto aspettare più di due anni e passare attreaverso il calvario di tre processi per veder ripulito il loro nome.Nel frattempo, il processo ha richiesto un tributo pesante alle famiglie di Zak e Alfie, con Zak che ha dovuto vedere trascinato davanti alla corte il suo fratello più piccolo, imputato delle stesse false accuse.

Il processo ha anche evidenziato lo stesso modello di criminalizzazione e vittimizzazione da parte della polizia e del CPS [Crown Prosecution Service, la nostra Procura, NdT], che abbiamo visto in azione anche nei casi della tragedia di Hillsborough e dello sciopero dei minatori a Orgreave.

Alla stessa manifestazione, Alfie ha ricevuto una manganellata alla testa che ha richiesto un intervento chirurgico salvavita di urgenza. Mentre la polizia è finora sfuggita ad ogni forma di responsabilità per le loro azioni, Alfie era stato accusato di disordini violenti e ha dovuto lottare per ripulire il suo nome prima di iniziare finalmente a percorrere la strada verso la giustizia.

Dei 15 manifestanti che si sono dichiarati non colpevoli rispetto alle accuse di disordini violenti per la manifestazione del 9 dicembre 2010, fino ad ora 14 sono stati dichiarati non colpevoli. In un momento di tagli senza precedenti ai finanziamenti pubblici, è atroce che la polizia e la CPS abbiano sprecato denaro nel perseguimento della criminalizzazione di manifestanti.

Il processo ci ha permesso di esaminare ciò che è accaduto il giorno della protesta. I manifestanti pacifici e sottoposti a contenimento da parte della polizia [il cosidetto kettling NdT] sono stati caricati con i cavalli e soggetti ad un uso indiscriminato del manganello. Quando l’avvocato di Alfie, Carol Hawley, ha chiesto davanti ai giudici al’ufficiale Wood, responsabile dell’operazione di terra di quel giorno, se i manganelli erano stati usati come ultima risorsa, la sua risposta è stata che l’uso di una mitragliatrice contro i manifestanti sarebbe stata il ultima istanza. È emerso che la polizia ha anche considerato l’uso di proiettili di gomma contro gli studenti che manifestavano.

Il trattamento subito da Alfie e da altri studenti  è in netto contrasto con la mancata inchiesta per stabilire le responsabilità della polizia nell’usare tattiche violente e le ferite causate ai manifestanti. Sulla scia di questo verdetto ci viene ricordato che dobbiamo lottare insieme per difendere il nostro diritto a manifestare e per la giustizia di tutte le vittime della violenza poliziesca.

“La lotta per la giustizia per mio figlio è finalmente iniziata. L’intera famiglia ha attraversato due anni di agonia assoluta. Siamo stati messi a tacere su quello che era successo a nostro figlio. Ora possiamo passare alla questione fondamentale: avere giustizia per Alfie” (Susan Matthews, madre di Alfie).

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Valutare e punire: il controllo dei saperi

Scuola di insegnamento mutuale elementare. Ordinamento generale della scuola. Litografia di Hippolite Lecomte, 1818.

Scuola di insegnamento mutuale elementare. Ordinamento generale della scuola. Litografia di Hippolite Lecomte, 1818.

L’Università è in crisi ormai palese e forse irreversibile: una crisi avviata dalla Riforma Berlinguer del 1999 (che ha istituito la laurea breve e il sistema dei crediti formativi) e culminata con la devastante Riforma Gelmini, secondo un progetto di “modernizzazione” che, lungo quattordici anni, ha distrutto la didattica degli atenei e tagliato le risorse per la ricerca e per il diritto allo studio.
Non si tratta di un fenomeno solo italiano, ma di un mutamento assai più vasto per cui le vecchie forme dello Stato si uniformano sempre più ai poteri privatistico-manageriali. Questo processo non è altro, infatti, che la sottomissione dell’Università ai criteri del modello neoliberale, dal momento che la produzione di conoscenza è asservita alla soddisfazione dei diktat della società di mercato.

Così, le università divengono centri di disciplinamento della conoscenza dove l’ideologia della valutazione informa una cultura che non contempla la libera ricerca e la produzione di saperi che favoriscano la trasformazione e il miglioramento delle condizioni della nostra esistenza. Agli spazi più duttili e aperti della formazione subentra oggi un giudizio di conformità a norme prestabilite e prescrittive, che si dichiarano “oggettive”, “neutre”.
Per questo il potere accademico diventa sempre più intollerante verso le attività autorganizzate degli studenti, verso le iniziative di autoformazione, l’esercizio libero della critica e l’occupazione di spazi universitari inutilizzati o sottoutilizzati.

Di ideologia della valutazione e di critica della cultura della meritocrazia, dei dispositivi di controllo che agiscono coattivamente nel ridisegnare la società della conoscenza, tratta il libro “Valutare e punire. Una critica della cultura della valutazione” (Napoli, Cronopio, 2012) che presenteremo con Valeria Pinto, autrice del testo e docente dell’Università Federico II di Napoli.
Interverrà inoltre Andrea Cavalletti, docente presso l’Università IUAV di Venezia, per dibattere assieme delle origini di questa società della conoscenza e della ideologia classista che vi soggiace, di cui le riforme sono espressione.

Giovedì 14 marzo, ore 17:00
Aula 4 (Facoltà di Scienze Politiche)
Strada Maggiore 45, Bologna

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6 dicembre: Diritti, non permessi!

Questo periodo di crisi economica e sociale vede le condizioni materiali di studenti e lavoratori peggiorare sempre più: giorno per giorno, mese per mese ci vengono negati i più basilari diritti conquistati in anni di lotte, fagocitati dalla logica del capitale che non trova altri modi per attenuare la propria crisi strutturale se non scaricandone il peso sulle classi subalterne, in condizioni di maggior sfruttamento e impoverimento.
Come studenti e studentesse viviamo sulla nostra pelle i provvedimenti emanati dallo Stato che negli ultimi 20 anni ha reso l’istruzione una merce: il sistema dei crediti, completamente slegato da una logica di promozione di una cultura libera e critica, fissa un criterio quantitativo per il nostro sapere, come fosse un qualsiasi prodotto di un centro commerciale. Gli affitti e i prezzi dei beni primari sono sempre più alti e ci fanno vivere sempre più duramente la nostra condizione di studenti e precari, sfruttati nei beceri lavori che cerchiamo di fare per sbarcare il mese.
Pensiamo che per liberarci da questo stato di cose si debbano praticare immediatamente forme di autorganizzazione che aprano crepe in questo sistema, nell’università così come sul posto di lavoro così come in ogni ambito della nostra vita. Il futuro che ci aspetta è quello che sapremo costruire insieme e passa dalla distruzione di quello che ci stanno imponendo.

CONDIVIDIAMO SAPERI
SENZA FONDARE POTERI
per un’università libera e per tutti e tutte!

Scarica il volantino in .pdf

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Non ci rappresenta nessuno

Il Collettivo Autorganizzato Volya è un progetto politico nascente fatto di studenti e studentesse, precari e precarie.
Siamo coscienti che il sistema dell’istruzione  è modellato e imperniato sulla mercificazione del sapere che ci costringe a vivere l’università come un esamificio, sotto il motto: “Studio, esami, crediti”.
Questo alienante modello di trasmissione della conoscenza è incastonato tra innumerevoli esami e la continua preoccupazione del raggiungimento dei crediti formativi (CFU) minimo per aver accesso a quei diritti che dovrebbero essere, di fatto, già nostri.
La casa, la mensa, i trasporti, ecc. per questo sistema non sono nostri diritti, ma qualcosa da pagare: ecco che metà della nostra, tanto faticata, borsa di studio serve a pagare il posto letto che “hanno messo a nostra disposizione”; ecco che siamo costretti a lavorare, spesso e volentieri a nero, per mantenerci gli studi.
Qui a Bologna, città con il più antico ateneo del mondo, la soddisfazione di queste necessità di base non è concessa. L’impatto con la privata azienda per il diritto allo studio, la Er.Go, è subito traumatico: i ragazzi e le ragazze devono districarsi tra gli innumerevoli ostacoli burocratici, aspettare con impazienza l’alloggio e la borsa di studio ad anno accademico già in corso, costretti ad usare una casella mail o un call center (sempre irraggiungibile) per avere qualsiasi informazione. L’Er.Go non ha uno sportello per il pubblico e la minima svista è punita severamente.
Se l’azienda non ci accetta, ci sono i grandi e piccoli speculatori e proprietari di case che vivono sul nostro sudore e sangue.
In quel poco tempo libero concessoci possiamo andare a bere in piazza Verdi, dove comunque siamo controllati da pattuglie di vigili urbani e squadre di celerini della polizia.
Attenti a suonare qualsiasi strumento: sono 400,00 € di multa!
Abbiamo preso coscienza che all’università, così come nella scuola, in fabbrica od in ufficio, viviamo quotidianamente l’oppressione del sistema capitalistico basato sulla divisione in classi sociali, dove chi ha i soldi può e chi non ha non può.
Non siamo più disposti ad accettare questo stato di cose.
A questo stato di cose, vogliamo opporre la coscienza dei diritti che sono beni comuni: il diritto alla casa, alla mensa e tutti quelli che compongono il diritto allo studio.
A questi soprusi, noi opponiamo pratiche di autorganizzazione e la lotta dal basso per riappropriarci delle nostre vite, per l’abbattimento dell’odierno sistema sociale diviso in classi e la creazione di una società di liberi ed eguali, basata sulla solidarietà e sulla giustizia sociale.

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